Lavoro, parità, futuro e innovazione. Un meeting della Consigliera regionale di parità con Fondazione Olivetti e Potenza città per le donne.
Ieri era la festa della donna. Volutamente non abbiamo fatto post e non abbiamo cercato like. Ma abbiamo partecipato a un dibattito che riteniamo importante e abbiamo portato come Universosud, come Comincenter e attraverso la mia voce, riflessioni e spunti per contribuire a un tema quanto mai fondamentale nella nostra regione.
Prima di parlare di smart working…
Lo smart working potrebbe essere uno strumento eccezionale, nell’ampio paniere degli strumenti che esistono per le pari opportunità sul lavoro. Per esserlo, ci sono delle direttrici di sistema che devono cambiare.
Prima fra tutti un sistema culturale in cui l’assegnazione dei ruoli si basa su un distorto binomio per cui l’uomo è in assoluto il sostentatore e la donna in assoluto l’addetta alla cura.
Vi faccio il banale esempio della mia quotidianità. Oggi sono qui a poter parlare e discutere su un tema importante, non perché ho lasciato i miei figli non alla baby sitter o ai nonni, ma perché mio marito se ne sta prendendo cura, sta facendo la lavastoviglie, sta cucinando. E questa cosa senza pregiudizio, senza forzatura, senza essere avvilito con etichette tipo “mammo”. I miei figli ci sono abituati. E spero possano essere portatori di questo esempio.
La cooperazione è uno stile di vita
Alla fine, non ci vuole poi tanto. Direi che nel nostro sistema ci vorrebbe più cooperazione, parola che le nostre comunità hanno perduto. Dal latino cooperàri, composto da con (insieme) e opera (fatica, industria, cura).
La cooperazione porta con sé il concetto meraviglioso della “mutualità”, dal latino mutuum = dare in cambio. Cioè una forma di aiuto reciproco, per garantire uguali diritti dopo aver adempiuto ad uguali doveri. Mi sembra che abbiamo decisamente bisogno di questa cosa.
La seconda direttrice su cui bisogna lavorare è la cultura del benessere.
Lì dove ci sono condizioni reali di “messa in comune dei carichi”, conciliazione vita lavoro, di sostegno, alle donne e agli uomini, e nel caso di tipi di impiego che lo permettano, lo smart working può fare la differenza tra il rimanere competitivi sul mercato oppure no.
Lo smart working non ha a che fare con i lavoratori
Detto questo, vorrei un attimo focalizzare l’attenzione cosa significa “lavorare smart”. Spesso smart working viene confuso con lavoro da remoto.
E qui arriviamo alla terza e ultima “direttrice” da scardinare. Lo smart working ha più a che fare con i datori di lavoro che con i lavoratori.
Il Politecnico di Milano lo definisce “Una nuova filosofia manageriale fondata sulla restituzione alle persone di flessibilità e autonomia nella scelta degli spazi, degli orari e degli strumenti da utilizzare a fronte di una maggiore responsabilizzazione sui risultati”.
Lo sforzo che come imprenditori dobbiamo fare è cambiare l’asset di gestione delle imprese. Un grosso passo in avanti verso la conciliazione di vita e lavoro, investendo sulla cultura del benessere delle persone.
Per farlo però, bisogna iniziare a lavorare e formare una nuova “stirpe” di imprenditori, chiamiamoli “smart entrepreneur”.
È di pochi mesi fa “No rules rules”, il libro del patròn di Netflix, Reed Hastings, scritto a quattro mani con la giornalista Erin Mayer. Nel libro Hastings racconta di come, elevando alla massima potenza competenze, motivazione e sincerità, delle persone che lavorano insieme a lui, abbia creato quello che è l’impero dell’entertainment che noi tutti oggi conosciamo.
No rules rules. Il modello Netflix
Come è possibile? Aumentando la relazione di fiducia tra datore e lavoratore. Assumendo persone con altissimi profili di competenza e pagarle sopra la media del mercato. Investire in motivazione, e su un mindset del lavoratore che diventi employeneur. Togliere i controlli aumentando la sincerità.
In Italia, il modello che Hastings prospetta è di difficile messa in pratica, per tutta una serie di motivi.
Di sistema: basti pensare alla contrattazione collettiva del lavoro che ancora oggi non prevede aggiornamenti su molte figure digitali. Oppure alla pressione fiscale sul lavoro. Ma anche culturali, e mi riferisco a tutto il macro cosmo del recruitment, delle modalità di ricerca passiva del lavoro e, come ci ricorda il meraviglioso Checco Zalone, dell’eredità del posto fisso.
Per i datori di lavoro, d’altro canto, “uscire dall’800” (per citare l’ispettrice del lavoro, Rocchina Rosa) significa smettere di controllare ossessivamente il minuto di ingresso e uscita dei dipendenti, piuttosto iniziare a gestire, dare fiducia, condividere responsabilità. Significa essere capaci di dare obiettivi e compiti chiari. Vuol dire tenere d’occhio un reale bilanciamento vita-lavoro, per evitare il rischio di burn-out di lavoratori e lavoratrici. Significa pure iniziare a instaurare relazioni lavorative fondate sul merito, sulla produttività, sulla premialità, sull’empatia. Difficilissimo nel pubblico, ma anche nel privato. È una sfida dura, si tratta di rivoluzionare tutto.
Hai sentito parlare di “next working”?
Lo smart working, concludendo, porta con sé mille vantaggi, ma anche grossi limiti, se calato in territori difficili come quello della Basilicata. È di qualche giorno fa la notizia di un esperimento chiamato “next working” cioè dare la possibilità ai lavoratori di raggiungere il co-working più vicino alla propria abitazione, per lavorare insieme ad altri, che non siano necessariamente colleghi di lavoro. E vi lascio immaginare le opportunità di benessere e crescita personale e professionale che questo può portare. E quindi che beneficio anche l’azienda ne trae.
Ho avuto l’onore e l’onere, come co-founder di Universosud e del Comincenter, di entrare a far parte della Commissione Smart Working istituita nel giugno 2020 dalla Consigliera Regionale di Parità della Basilicata, Ivana Pipponzi. A breve uscirà il primo report di questo strumento istituzionale, formato da un gruppo di donne e di uomini che si spendono da sempre per le pari opportunità, e da cui ho tutto da imparare.
In questa pubblicazione, troverete molti spunti, dati che derivano da indagini condotte dall’Ispettorato del lavoro, interviste e idee, per iniziare a orientarsi e a diffondere una nuova cultura del lavoro, anche il Lucania.